Prepararsi alla Liturgia – III domenica del tempo ordinario

Lasciare le proprie reti

 Piero Stefani  (fonte..: www.IlRegno.it)

Gn 3,1-5.10; Sal 25 (24); 1Cor 7,29-31; Mc 1,14-20

Il Vangelo di questa settimana intreccia tra loro il tema del Regno e quello della conversione e della chiamata. «Il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15). Nel contesto biblico il regnare di Dio è presentato, per lo più come una vittoria, vale a dire come l’esito di una contesa. È una regalità conquistata. Ciò apre scenari abissali. La più antica attestazione del regnare del Signore la si trova nel canto di vittoria pronunciato da Mosè dopo il passaggio del Mar Rosso, in cui trovò la morte l’esercito egizio: «il Signore regni in eterno e per sempre!» (Es 15,18).

Il grande macigno che pesa su questa affermazione è che un Dio che regna nella storia è di necessità un Dio schierato non solo dalla parte dei più deboli, ma anche contro i più forti; è lui a sconfiggere i prevaricatori. Come essere a favore degli oppressi senza contrastare in modo violento gli oppressori? Il racconto dell’esodo dall’Egitto, preso in se stesso, non risponde a questa sfida. Il linguaggio biblico, quando parla dell’affogamento di cavallo e cavaliere (cf. Es 15,1), è mitico. Se lo si decifra, esso ci lancia la sfida presente in tutta la storia fino a oggi: come contrastare senz’armi le infinite forme di violenza esercitate dal potere politico, economico o militare a scapito dei vinti, degli sfruttati, degli emarginati? L’annuncio del «regno di Dio» costituisce anche un appello al Signore perché sia lui a sciogliere questo nodo.

L’inizio della predicazione del Vangelo – precisa Marco – ha luogo «dopo che Giovanni fu arrestato» (Mc 1,14). È forse un caso? Il potere ha esercitato la propria violenza sul profeta che parla a nome di Dio. Non era la prima volta; non sarebbe stata neppure l’ultima. Alle spalle dell’annuncio del Vangelo del Regno c’è la sopraffazione. L’appello alla conversione, o meglio – secondo l’etimo – al cambio di mentalità (verbo, metanoeo), va colto su questo sfondo. Solo se si muta il modo di pensare e di agire si è nelle condizioni di credere al Vangelo del Regno.

Il verbo è all’imperativo: «Convertitevi». Il Regno si è avvicinato, ma il suo pieno erompere dipende dall’accettazione del Vangelo e quest’ultima, a sua volta, esige un mutamento di mentalità. Il tempo (kairos) che si compie è quello della decisione. L’appello è rivolto a tutti; non tutti però l’accoglieranno, i potenti di questo mondo non hanno cambiato mentalità, quindi la sorte di Giovanni anticipa quella che sarebbe toccata a Gesù.

All’annuncio del Vangelo del Regno e alla conversione segue immediatamente la chiamata dei primi quattro discepoli. Essa comporta da parte loro un radicale mutamento di vita. I pescatori cambiano mentalità, lasciano l’acqua e le reti e si incamminano dietro Gesù (Mc 1,17) lungo le polverose strade della Galilea: i piedi (cf. Is 52,7) sostituiscono i remi.

Nel passo parallelo Luca correda la chiamata dei primi discepoli con la scena della pesca miracolosa (cf. Lc 5,1-11). A ben guardare, più che rafforzare il contesto, l’appello al miracolo sembra però indebolirlo. Quanto davvero conta è credere al Vangelo, udendo una voce che chiama tutti alla conversione e i discepoli alla sequela. Se le si presta ascolto, la vita di ciascuno non è più la stessa; la «logica del Regno» prende allora il predominio. Tuttavia né allora, né ora sono molti coloro che fanno entrare pienamente nella propria vita l’Evangelo sine glossa. Essi sono coloro che, senza aver bisogno di miracoli, lasciano alle spalle le proprie reti e si mettono alla sequela di Gesù.

La croce sta lì a indicare che neppure Gesù riuscì a convertire tutti i cuori e mutare tutte le menti. Potremmo forse farlo noi? Occorre quindi chiedere al Padre che dia ai nostri cuori la forza di farlo.

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