Ecco io sono con voi
Piero Stefani (fonte..: www.IlRegno.it)
At 1,1-11; Sal 46 (47); Ef 1,17-23; Mt 28,16-20
Nel giorno dell’Ascensione al cielo di Gesù si legge il Vangelo in cui egli assicura il perdurare della propria presenza sulla terra: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,19-20). Il fatto che la promessa della presenza si colleghi al distacco dalla terra del Risorto e al cosiddetto mandato missionario indica la non separabilità di queste tre dimensioni. L’assicurazione di «essere con voi» non è un dato oggettivo, al contrario essa consegue dalla maniera in cui si svolge il compito al quale si è chiamati; è la forma di presenza che si colloca tra la prima e la seconda venuta.
Alcuni capitoli prima Matteo, nel discorso a volte definito ecclesiale, aveva messo in bocca a Gesù queste parole: «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). L’affermazione non significa che due o tre si riuniscono nel nome di Gesù perché in quel posto egli è già presente come se ci si conformasse alla logica del luogo sacro; è vero il contrario: Gesù si fa presenza perché due o tre si riuniscono nel suo nome. È quanto avviene ogni volta in cui un’assemblea si raduna per celebrare l’eucaristia. L’inizio di ogni presenza reale dipende dall’aver compiuto determinati atti nell’ambito dell’assemblea.
La presenza collegata alla missione non può prescindere dallo stile con cui si svolge l’annuncio. Il congedo del Risorto nella chiusa di Matteo indica una modalità precisa di evangelizzazione. Non lo si è sempre compreso, anzi molte volte lo si è potentemente stravolto e tradito. Troppo spesso i cristiani hanno annunciato l’Evangelo ad altre culture senza volerle ascoltare. Proponendo in modo esclusivo la propria visione, essi hanno prodotto, non di rado, tragedie. Nel 1496 un gruppo di indigeni americani si impossessò di alcune immagini sacre cristiane; le ricoprirono di terra e vi urinarono sopra, si trattava di un rituale di fertilità; esso fu però scambiato per profanazione: il supposto sacrilegio fu punito dal fratello di Cristoforo Colombo facendo bruciar vivi i presunti colpevoli. Gesù risorto non fu presente in mezzo a siffatti evangelizzatori.
Anche dove non ci sono state tragedie spesso sono intervenuti pesanti equivoci. «Andate fate discepoli tutti i popoli battezzandoli…». Si battezzano forse i popoli? Una lunga prassi cristiana risponderebbe affermativamente; la chiusa di Matteo dice però altro. La sua traduzione letterale è la seguente: «Andate, fate discepoli tutte le genti (ta ethnē) battezzandoli (autous)…». Nel greco vi è un passaggio tra due generi che non si accordano. Non si battezzano, dunque, popoli, genti e tanto meno nazioni. Si battezza chi, dopo aver ascoltato l’annuncio, aderisce liberamente alla fede.
In questo caso rivolgersi al testo originale va al di là della filologia, qui è in gioco una realtà molto più importante connessa all’annuncio del Vangelo. Il Risorto è presente in mezzo agli annunciatori quando questi ultimi si conformano a chi, pur avendo ricevuto ogni potere in cielo e in terra (cf. Mt 28,17), affida la diffusione dell’Evangelo a una parola umana chiamata a rivolgere un invito e non già a esercitare un dominio. Ciò sarà tanto più vero quanto più sulla terra la fede verrà vissuta nell’attesa della seconda venuta: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avere visto andare in cielo» (At 1,11).