Tomáš Špidlík
(Il vangelo delle feste, Lipa 2003)
II domenica di Avvento – Lc 21,25-28.34-36
Anno C
Voce che grida nel deserto
Perché san Giovanni Battista è andato nel deserto? Per questo motivo, la tradizione orientale lo considera il patrono dei monaci. Aveva quindi molti che lo imitavano. Ma perché si recavano proprio nel deserto? Per digiunare, per non vedere niente e cosí poter pregare indisturbati. Gli scettici dubitano dell’utilità di questa scelta. È umano? Una volta chiesero ad un cristiano comune: “Non si allontana anche lei dal rumore del mondo?”. Sorridendo, questi rispose: “Amo andare fra gli uomini e mangiare ciò che mi danno”. Non è l’unico a pensarla cosí. Sembra quindi che la gente di oggi abbia perso il senso del digiunare. Si giustifica anche con l’argomento che i digiuni, come una volta li prescriveva la Chiesa, non corrispondono più alla vita sociale di oggi.
Non vogliamo discutere di queste particolarità. Ma, da uomini prudenti, tutti devono essere d’accordo sul principio che il mangiare deve essere proporzionato a ciò a cui serve e che il digiuno è un medicamento contro l’abuso. Il modo concreto si adatta alle circostanze concrete. Per questo motivo i documenti ecclesiali recenti, quando parlano di digiuno, notano che l’astinenza non si riferisce al solo mangiare, ma al dominarsi in tante altre cose, ad esempio nel fumare, nell’uso degli alcolici, ecc.
Ma soffermiamoci oggi su un tipo di astinenza alla quale non si pensa troppo spesso. Ai pittori delle icone si raccomandava caldamente il “digiuno degli occhi”. Sembra strano, perché proprio il pittore è colui che deve essere capace di osservare bene la realtà del mondo e dipingerla fedelmente sul quadro. Ma il pittore è come un creatore. Deve dire ciò che è necessario e niente di più, evitando le parole inutili. L’iconografo deve, ad esempio, dipingere la nascita di Gesù a Betlemme. C’erano i pastori che custodivano il gregge. Quanti pastori deve raffigurare sul quadro? Bastano due, e anche solo due pecore. Cantavano gli angeli. Anche di loro ne bastano due soli. Si pratica quindi un digiuno nelle forme e nei colori. Devono essere raffigurati tanti motivi quanti servono ad esprimere l’idea e niente di più, perché l’abbondanza delle belle forme distrarrebbe dall’idea centrale: fissare l’attenzione sulla Madre di Dio e sul Salvatore che è nato.
A questo principio dovrebbero essere legati tutti i pittori. Il suo valore mi fu mostrato da un critico d’arte su di un quadro che, a prima vista, mi piaceva molto. Rappresentava un eremita con un libro spirituale in mano presso la sua grotta nel bosco. Accanto a lui correva un piccolo fiume d’acqua azzurra, nello sfondo si vedeva sulla montagna una chiesetta con le finestre illuminate. Ma proprio in questa chiesa il critico vedeva il difetto principale. Mi disse: “Guardi il quadro all’improvviso. Dove le cade l’occhio? La chiesa illuminata, poi il piccolo fiume, quindi gli alberi del bosco. E l’eremita? Solo alla fine, come un motivo secondario”. I teorici delle icone chiamavano questo modo di dipingere “golosità degli occhi”. Lo sguardo si sazia delle cose secondarie e dimentica il tema principale. Gli impressionisti del XIX secolo amavano riprodurre il quadro di Maria Maddalena che, secondo la tradizione, fini la sua vita come eremita nel bosco per fare penitenza. Nei quadri non osserviamo niente di questo. C’è rappresentata una bella donna in un bosco incantevole. Il tema della penitenza è sparito.
Cerchiamo ora di trasferire questa esperienza dalla pittura alla vita quotidiana. Immaginiamo la scena domestica della sera. La mamma prepara la cena. Il padre sta telefonando e i bambini guardano la televisione. La madre vuole dir loro qualcosa, ma nessuno sente. Sono tutti presi dal programma televisivo. La mamma capitola. Voleva dir loro una cosa importante, ma cosí come si fa? Almeno mi lasciano in pace! Il marito lascia il telefono e grida veloce: “Devo andar via, conservami la minestra calda”. È una scena familiare? Sí, ma con quante difficoltà! L’unione fra i membri è cosí difficile. Le conseguenze si scopriranno più tardi. La mamma si lamenterà: “Non posso dire niente ai miei figli, non mi ascoltano”. Non c’è da meravigliarsi, non lo facevano già prima. Era stata sostituita dalla televisione. Immaginiamo ora un’altra scena. Uno studente domani deve sostenere un esame all’università. Davanti a lui, sul tavolo, c’è un libro aperto. Ma alla televisione c’è un programma interessantissimo, una partita di calcio. I suoi occhi saltano dal libro allo schermo televisivo e da là al libro. Ci meravigliamo che le sue conoscenze per l’esame siano scarse e che gli faccia male la testa? Quanta gente si lamenta che ha i nervi rovinati. Dicono che questo proviene dal troppo lavorare. Ma, in genere, non è il lavoro ad indebolirci, piùttosto le continue distrazioni.
Abbiamo detto all’inizio che lo scopo del digiuno è limitare ciò di cui facciamo abuso. Può darsi che, in un tempo di diete, non siano numerosi quelli che abusano del cibo. Ma è certo che l’uomo di oggi abusa enormemente delle distrazioni. Ammiriamo quelli dei quali si dice che hanno del talento, del genio. Non è sbagliata la definizione pronunciata da un pensatore tedesco: “Il talento non è altro che la capacità di sapersi ben concentrare”. I talenti sono diversi. Chi si concentra sulla musica sarà musicista, chi sulla matematica, sarà matematico. Ma ci sono anche quelli che si concentrano sulla vita spirituale e diventano santi. Non tutti sono chiamati a divenire santi canonizzati, venerati sugli altari. Ma tutti i cristiani sono chiamati a diventare perfetti. Devono quindi imparare a sapersi concentrare sul lavoro, sulle buone relazioni in famiglia e nel loro ambiente, e anche sulla preghiera perché essa appartiene alla vita quotidiana dei figli di Dio. Tali concentrazioni esigono il “digiuno degli occhi”, la fuga nel deserto in senso metafisico, cioè il continuo dominarsi nelle distrazioni, nelle curiosità, la dimenticanza di preoccupazioni e di interessi inutili. Solo cosí raggiungeremo la tranquillità, la pace con Dio e con gli uomini.
