IL GIUDIZIO APPARTIENE SOLTANTO A DIO
Fabio Rosini (fonte: www.famigliacristiana.it)
(Autorizzati alla pubblicazione dalla Direzione di Famiglia Cristiana)
I servi gli dissero: «Vuoi che andiamo a raccoglierla?». «No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura».
Matteo 13,24-43
In agronomia il tema della purezza del seme è annoso: è praticamente impossibile esser certi che in una quantità di semi dello stesso tipo non ci sia anche un seme simile per forma, ma eterogeneo come pianta. È difficilissimo riuscire a seminare solo il seme che si vuole piantare. C’è sempre altro.
Quando si parla, per esempio, avere l’idea di esser capiti da tutti nello stesso modo è una pretesa irrealizzabile, perché nell’intercapedine sconosciuta che c’è tra le parole c’è sempre uno spazio anche per un senso estraneo – non inteso anzi del tutto escluso da chi comunica.
Quanto è sgradevole la tortura del frutto inaspettato, del fiorire odioso del frainteso, dell’opera non richiesta anzi esecrata eppure prodotta proprio dai propri atti! La zizzania di un campo è la constatazione amara di un male non concepito, estraneo eppur presente.
Cosa fare, quindi, quando il mondo si presenta ambiguo, buono solo in parte, venato di male, con una non trascurabile quantità di effetti collaterali distruttivi?
Nella parabola in questione la prima ipotesi è che ci sia un errore all’origine: «Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo?». Può essere che il male in cui ci si imbatte sia seminato da Dio? Ecco la risposta: «Un nemico ha fatto questo!». C’è il nemico. C’è la tentazione. Non si può pretendere di fare qualcosa di fruttuoso senza essere sottoposti alle insidie dell’avversario. Certo che ci sono problemi se ci si mette a fare qualcosa di buono! Un matrimonio ha le sue insidie, il lavoro ha la sua gramigna, l’educazione dei figli ha le sue dolorose involontarie incomprensioni, l’edificazione della comunità cristiana ha il suo portato di parassitismo religioso.
La zizzania non è volontà di Dio, non è semina di Dio, ma è opera di opposizione sempre presente quando compaia un’opera importante e santa.
L’IPOTESI PERFEZIONISTA.
Allora compare la proposta classica: «Vuoi che andiamo a raccoglierla?». Togliere il problema, sradicare il male quando appare, eliminare i disturbi. L’ipotesi perfezionista che trasforma le opere buone in incubi ansiosi, dove in pochissimo tempo non c’è più da fare il bene ma da evitare il male come missione principale. E così la vita spirituale si imposta tutta sulla negazione, sul purismo, su quel che non si deve fare. E ci si dimentica della vitalità del bene.
Ma il Padrone non è ansioso, non gli dà noia che le cose siano insidiate: per Lui il bene è l’unica cosa che conta. La sua strategia è volta a non perdere nessuna parte del buon seme – le stonature di sottofondo non spengono la bellezza della melodia, ed è quel che conta.
C’è un tempo per la distinzione: al momento della mietitura il grano imbiondisce e la zizzania, anche se somiglia al grano, resta ineluttabilmente verde.
Il bene e il male si riconoscono all’esito, alla fine, quando arrivano gli angeli, perché sono gli inviati di Dio che fanno la selezione, non gli uomini. Solo Dio sa di aver nascosto il suo lievito nella storia, e quel che deve lievitare, lieviterà. Solo a Dio appartiene il giudizio.
16 luglio 2020