Prepararsi alla Liturgia – IV domenica di Avvento

«Eccomi»

 Piero Stefani  (fonte..: www.IlRegno.it)

2Sam 7,1-5.8-12.14.16; Sal 89 (88), Rm 16,25-27; Lc 1,26-38

«Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Essere «serva del Signore» è qualifica elevata, per confermarlo basti pensare all’espressione «servo del Signore» presente nel rotolo di Isaia (cf. per esempio Is 52,13). «Avvenga di me secondo la tua parola» si riferisce a un compito unico e irripetibile affidato alla giovane donna di Nazaret. Questa dimensione alta è introdotta da un termine apparentemente più semplice; invece è proprio esso tanto a inserire (forse più di ogni altro riferimento) Maria nella storia biblica, quanto ad avvicinarla a tutti coloro che sono chiamati. «Eccomi» (in ebraico hinneni, in greco idounella sua brevità è una grande parola biblica.

Vocazione e chiamata sono realtà che interagiscono con la nostra vita. In più circostanze occorre rispondere a una voce che viene da fuori: nessuno si autochiama. Qui non si tratta di coltivare i propri desideri. Si può trascorrere la vita intera ad avere cura di sé stessi senza mai udire una chiamata. Ciò avviene quando non vi è un orecchio capace di prestare ascolto a quel che viene dal di fuori. Molteplici sono le vie in cui si manifesta la voce che giunge dall’esterno. Non è necessario che sia angelica; essa non è vincolata neppure a parole: può trattarsi anche di un semplice sguardo. Quanto conta è che non provenga da noi. A noi spetta rispondere, non già chiamarci.

«Eccomi» vuol dire semplicemente «sono qua». A renderne chiaro il significato è prima di tutto il suo contrario fisico e spirituale: «essere altrove», condizione ben espressa dal termine «alibi». Chi risponde «eccomi» non cerca alibi; non è altrove. L’aver cura di sé può assumere anche la curvatura altruistica connessa alla soddisfazione derivata dall’occuparsi del proprio prossimo. Completamente diverso è il caso della chiamata; lì bisogna rispondere e non gestirsi. Occorre sempre assumere il rischio di decidere. «Eccomi» è la grande parola umana che contraddistingue le chiamate bibliche di Abramo (cfr. Gen 22,1), di Mosè (cfr. Es 3,4), di Isaia (cfr. Is 6,7-8) e di Maria. Essa vale anche per tutti coloro che si sentono chiamati a svolgere un compito a favore di altri. Anche nel quotidiano si apre spesso l’alternativa tra l’«eccomi» e l’essere altrove («alibi»).

Vi sono due grandi insidie connesse alla chiamata. La prima sta nella difficoltà di comprendere da chi viene la voce. Il discernimento non è meno necessario del coraggio. Quando si risponde «eccomi» non si coinvolge solo la volontà: anche la coscienza e l’intelligenza hanno la loro parte. Allora è come se si dicesse: non solo sono qui, ma sono qui nella mia consapevole e integra interezza. Una risposta ingenua rischia quindi di compromettere tutto noi stessi. Vi sono state vite rovinate dall’aver risposto «eccomi» a una voce seducente ma ingannevole.

Il secondo pericolo è la falsa certezza che, avendo risposto a una chiamata, l’intera nostra esistenza si sia trasformata in una missione, quasi che da allora in poi l’immagine che ciascuno ha di se stesso sia nobilitata in modo stabile agli occhi propri e altrui. In questo caso la chiamata è ricondotta dentro la spirale della cura di sé. L’«eccomi» scivola allora, a poco a poco, nelle sabbie mobili dell’autoreferenzialità. Non fu così per Maria, in lei la riposta fu pronta e obbediente, ma non ingenua. Maria avanzò un’obiezione: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Lc 1,34); ottenne una risposta, «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37; cf. Gen 18,14), che, fatte le debite proporzioni, vale per tutti e per ciascuno.

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