Tra angeli e bestie selvatiche
Piero Stefani (fonte..: www.IlRegno.it)
Gen 9,8-15; Sal 25 (24); 1Pt 3,18-22; Mc 1,12-15
A Marco basta una riga per descrive il soggiorno di Gesù nel deserto: vi «rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano» (Mc 1,13). La mancanza di un’estesa descrizione delle tre tentazioni, presente negli altri due sinottici (cf. Mt 4,1-11; Lc 4,1-13), fa sorgere una domanda: da quale parte vanno collocate le fiere (particolare assente sia in Matteo sia in Luca)? Satana lo tenta, gli angeli lo servono, e le bestie che fanno?
Sono possibili almeno due interpretazioni. Il riferimento alle bestie selvatiche può essere chiamato in causa per descrivere la durezza e lo squallore del luogo desertico; in ciò esse sarebbero contrapposte all’assistenza angelica. In Isaia e in Geremia la presenza di animali selvatici in luoghi un tempo abitati rappresenta il massimo segno di desolazione (cf. Is 34,11-16; Ger 50,39). Nella rilettura delle «piaghe d’Egitto», compiuta dal libro della Sapienza, le fiere sono intese come forme di punizione divina: «Tu inviasti per loro castigo una massa di animali senza ragione» (Sap 11,15). Le bestie selvatiche andrebbero perciò collocate agli antipodi degli angeli.
All’opposto di quanto finora detto, la familiarità con le fiere può essere letta in chiave edenica: tutto torna in armonia quando Satana è vinto. In realtà più che di un ritorno all’origine si tratterebbe di un’anticipazione dell’avvenire. ll soggiorno di Gesù con le fiere preannuncia l’epoca in cui lupo e agnello, orso e vacca pascoleranno assieme (cf. Is 11,6-8). Non a caso l’atto di ammansire animali feroci sarebbe stato un tratto peculiare di molti santi, a cominciare dai padri del deserto. L’umano diventa capace di relazionarsi sia con chi è più in alto, sia con chi è più in basso di lui nella scala dell’essere.
In questa incertezza interpretativa, una prospettiva è certa: angeli e bestie selvatiche stanno in luoghi desertici perché estranei alla normale convivenza umana. Per Gesù il deserto fu una prova attraverso cui passare al fine di annunciare agli uomini la buona novella del Regno. I quaranta giorni furono un tempo non solo di prova, ma anche di preparazione. Forse allora si dischiude una terza ipotesi interpretativa, secondo la quale la presenza degli animali non si identifica pienamente né con la tentazione, né con il preannuncio di un nuovo Eden. Angeli e bestie sono accomunati dall’essere segni, sia pur collocati a estremi opposti, dell’assistenza divina nella prova: «Egli per te darà ordine ai suoi angeli / di custodirti in tutte le tue vie. / Sulle sue mani essi ti porteranno, / perché il tuo piede non inciampi nella pietra. / Calpesterai leoni e vipere, / schiaccerai leoncelli e draghi» (Sal 91,11-13; cf. Mt 4,6; Lc 4,10).
Gesù, immediatamente dopo il battesimo, fu sospinto nel deserto dallo Spirito: «E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”. E subito lo Spirito lo spinse nel deserto» (Mc 1,10-12). Là a Gesù non poteva mancare l’assistenza del Padre; fu infatti lo Spirito a indurre chi era stato appena proclamato Figlio a recarsi nel deserto. All’inizio della sua missione per Gesù non era ancora giunta l’ora di gridare «Abbà, Padre tutto è possibile a te, allontana dal me questo calice» (Mc 14,36).
Trascorsi i quaranta giorni, di fronte a Gesù si palesò un’ulteriore e più autentica sfida. L’apocrifo Vangelo dello Pseudo-Matteo (35,2) racconta che Gesù bambino, dopo aver ammansito dei leoni (cf. Dn 6,12-18), avrebbe detto: «Le bestie mi riconoscono e si fanno mansuete, gli uomini mi vedono e non mi riconoscono». Non fu solo così, ma fu anche così. Sia per l’annunciatore sia per chi lo ascolta, la prova più autentica sta nella predicazione del Regno(cf. Mc 1,15). È giunto il momento della scelta. Si deve confidare nell’assistenza del Padre, ma ora si è chiamati a decidere in prima persona.