Riflessioni per il Tempo di Avvento – I domenica di Avvento

Tratte da:

Tomáš Špidlík

(Il vangelo delle feste, Lipa 2003)

I domenica di Avvento – Lc 21,25-28.34-36

Anno C

Vegliate e pregate

“Cosa fa quando si annoia?”, chiese una parrocchiana al suo parroco. “Non mi annoio, non ho tempo per un lusso del genere”. “Non ci credo. Ogni uomo ha momenti nei quali non ha voglia di far niente, quando non lo attira niente…”. Il parroco rispose: “Cercherò di ricordarmi. Ha ragione. Era durante la guerra, stavamo in mezzo ai due eserciti nemici per parecchi giorni, non si poteva uscire di casa… c’erano momenti del genere. Non si sapeva che cosa prendere in mano e neanche cosa aspettare. Erano momenti brutti…”. Ciò dimostra che l’attesa di quello che deve arrivare appartiene alla vita. L’intera esistenza è nel segno di quello che, in modo liturgico, chiamiamo “avvento”, tempo d’attesa di ciò che deve avvenire. Ma ci sono, evidentemente, diversi tipi di attesa.


In primo luogo, ognuno aspetta qualcosa da se stesso: quando crescerò…, quando finirò le scuole…, quando mi sposerò…, ecc. Come abbiamo detto, senza tali attese, la vita è impensabile. Scrive un autore spirituale: “Se domani il sole non dovesse più sorgere, sarebbe una notizia terribile, ma non come se non dovesse esserci nessun domani”. Eppure l’attesa ci fa spesso scontenti, qualche volta anche troppo. La gente perde la pazienza, s’innervosisce, ad esempio se siede troppo a lungo in qualche sala d’attesa. San Gregorio è ironico con questi innervositi: “Ogni animaletto, quando ha mangiato, si mette a giacere tranquillamente e tu ti agiti invano!”.
Nel monastero russo di Valaam, l’unico rimasto aperto dopo la grande Rivoluzione, dal momento che si trovava in territorio finlandese, viveva un famoso starets che diede ad un giovane monaco questo ammonimento: “Non sarai mai un religioso vero fino a quando non cambierai il tuo atteggiamento inquieto. Quando è inverno, desideri che venga la primavera. Sospiri nella Quaresima: che venga la Pasqua! A Pasqua pensi all’estate. Nell’estate immagini la raccolta dei frutti autunnali e poi il riposo invernale. Il presente che Dio ti dà per te non esiste, vivi solo nelle incerte fantasie del domani…”. Possiamo trovare la soluzione per uno che ha problemi del genere? Non possiamo spronarlo a fare il contrario, cioè a non aspettare niente. Ma è anche evidente che non possiamo fidarci di noi stessi dicendo: “Quando sarò…”. Questa “proiezione” non può darci la piena pace.
Un’altra specie di attesa è l’aspettativa delle cose esterne, degli avvenimenti: “Quando mi daranno i soldi…, quando arriverà la risposta positiva alla mia domanda per il trasferimento…, quando cambierà la situazione politica…”. Ed è relativamente pacifica anche l’attesa delle cose che consideriamo scontate: quando verrà il treno secondo l’orario…, quando sarà il mio turno dal dentista… Attendere, in questi casi, è sempre una perdita di tempo, ma in una misura normale è tollerabile. Peggio è quando dobbiamo attendere cose del tutto incerte: in una grande alluvione, temiamo che l’acqua ci penetri in casa. In un tempo di crisi economica, si teme di perdere il posto di lavoro. Contro tali eventualità, si cercano assicurazioni e leggi sociali nella società. Va da sé che non ci possiamo assicurare per tutto. E, d’altra parte, sentiamo che la vita di colui che è assicurato diventa completamente monotona, noiosa. I giovani sono romantici e spesso incredibilmente ottimisti. Credono che la loro escursione all’estero riuscirà anche con pochissimi sol-di. È sempre problematico conciliare i due opposti: la speranza assicurata e un romanticismo troppo ottimistico. Ma esiste ancora un terzo modo di aspettare: l’attesa di una persona, di un nuovo incontro. Quanta tensione si sente negli uffici quando si aspetta un nuovo capo sconosciuto, un nuovo governo, un nuovo papa… Il futuro sembra incalcolabile. In tali situazioni, la gente cerca di avere un contratto scritto che il nuovo capo non potrà cambiare e che dovrà accettare. Allora, come si può vedere, tutte le attese hanno il loro lato debole. Se quindi diciamo che tutta la vita cristiana ha l’aspetto dell’avvento, chiediamoci come superare le incertezze che questo comporta.
Tutto l’Antico Testamento è nel segno dell’attesa del Messia promesso. È quindi attesa di una persona, e di una persona tale che certamente non deluderà. Inoltre è attesa assicurata con la promessa di Dio, che sempre mantiene la sua parola. Abbiamo visto inoltre che le sue promesse si sono già avverate, anche se solo parzialmente. Noi aspettiamo ancora la venuta di Cristo, la seconda, nella gloria.
Quando diciamo a qualcuno che stiamo aspettando il giudizio finale, l’uomo comune si spaventa. Dal medioevo fino ad oggi, gli ultimi giorni della storia umana vengono quasi esclusivamente presentati come giorni di catastrofe universale. I predicatori utilizzano questo motivo per suscitare un salutare timore come mezzo per convertirsi dal peccato. Ma è una presentazione parziale. I primi cristiani pensavano più all’aspetto complementare: quello della gioia dell’incontro con il Salvatore. Perciò pregavano così come leggiamo nelle ultime pagine della Bibbia, nell’Apocalisse: “Maranà tha, vieni, Signore Gesù”. E colui al quale è rivolta questa invocazione dice: “Sì, verrò presto!” (Ap 22,20). Come riuscirono le profezie di calamità, annunciate nello stesso vangelo, a trasformarsi in un’attesa gioiosa? Si tratta, in primo luogo, dell’attesa della persona di Gesù Cristo. È un’attesa condizionata dalla fiducia che abbiamo in lui. Le cose, gli avvenimenti futuri possono essere pieni di terrore, ma tutti sono in potere di colui che è il loro Signore. San Claudio de la Colombière, primo propagatore del culto del Sacro Cuore, compose per se stesso una bella preghiera nella quale confessa che ha paura di tutto, soprattutto della sua debolezza e possibilità di commettere gravi peccati. Ma su una cosa non vuol avere alcun dubbio: sull’immensa bontà di Cristo. Questa fiducia lo salverà anche se crollasse tutto il resto. È l’aspetto che dobbiamo accentuare sempre più. L’avvento cristiano è l’attesa della Persona che introdurrà grandi cambiamenti. Con Cristo verrà il regno dei cieli, il cambiamento radicale che supererà tutte le rivoluzioni nate dalla storia del mondo. Ma un cambiamento nel bene assoluto. Va da sé che tutti si chiedono quando questo si deve realizzare. Anche gli apostoli posero tale domanda a Gesù. Ma lui rispose in un modo enigmatico. Di tempo in tempo appaiono profeti autoproclamatisi tali che fissano una data stabilita per la fine del mondo. In Alto Adige viveva un sacerdote assai originale che raccoglieva tutte le profezie possibili e impossibili sulla fine del mondo e una domenica, in una sua predica, dichiarò che questo giorno tanto atteso sarebbe arrivato il giovedì successivo. Tuttavia non dimenticò, con la solita precisione di sempre, di dare gli annunci per la domenica dopo. È chiaro che i buoni montanari non riuscirono a mettere insieme le due cose.
Gli autori spirituali greci vedevano il problema da un’altra prospettiva. Nel Credo recitiamo: “che verrà a giudicare i vivi e i morti”. Ma nella lingua originale greca si dice piuttosto: “che sta venendo a giudicare i vivi e i morti”, cioè che sta progressivamente arrivando e che noi progressivamente accettiamo fino a quando questo incontro sarà definitivo, fino a quando insieme a lui diremo a Dio: “Padre nostro”. Ma non lo diciamo forse già oggi? La nostra attesa dei giorni ultimi non somiglia a quella di una sala d’aspetto in una stazione ferroviaria, piuttosto a quella in un treno in corsa sul quale chiediamo: “Saremo presto là dove tutti ci aspettano?”. A chi vede questo ultimo evento in una luce cristiana non è difficile ripetere la preghiera della Bibbia e dei primi cristiani “Vieni Signore Gesù, Maranà tha!”.

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