Tratte da:
Tomáš Špidlík
(Il vangelo delle feste, Lipa 2003)
IV domenica di Avvento – Lc 1,39-48
Anno C
Ave Maria
“Ci sono molte preghiere, ma preghiamo poco”. Questo avvertimento critico fu pronunciato da un signore che osservava come le vecchiette in chiesa dicono un rosario dopo l’altro. E, per confermare il suo giudizio critico, aggiunse una metafora: “Mi sembra come se uno girasse di continuo l’interruttore senza ottenere la luce perché manca la corrente. Se la preghiera non è nel cuore, a che serve ripeterla con la bocca!”. Certamente, con questo giudizio, faceva torto alle devote vecchiette, ma teoricamente il giudizio è giusto. Ma come far passare la preghiera dalle labbra al cuore? È la domanda che si pongono spesso gli autori spirituali.
Rispondono: il primo metodo è meditare, pensare seriamente a ciò che diciamo. Proviamo, quindi, a farlo con una preghiera che ripetiamo migliaia e migliaia di volte: l’Ave Maria.
Un’anima mistica medievale, santa Matilde, scrive nelle sue rivelazioni che una volta pregava in chiesa la Madre di Dio. Le venne da dire queste parole: “Regina del cielo, vorrei salutarti con qualche parola cosí bella che ancora nessun uomo ha mai pronunciato”. Si dice che le sia apparsa la Vergine Maria che portava sul petto un’iscrizione d’oro: “Ave Maria”. Poi la Madonna avrebbe detto a Matilde: “Vedi, ancora nessun uomo ha escogitato un saluto migliore e ancora nessuno mi ha salutato con una invocazione più bella”.
Quali autori collaborarono per comporre questa preghiera? Le prime parole non provengono dall’uomo. Furono pronunciate dall’angelo al momento dell’annunciazione: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te” (Lc 1,28). Sono seguite dalle parole di sant’Elisabetta quando fu visitata da Maria in un villaggio di montagna: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!” (Lc 1,42), Gesù–aggiungiamo noi come spiegazione. E la Chiesa, attraverso i secoli aggiunge la sua domanda: “Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.” Nel brevissimo testo di questa preghiera sono quindi raccolti i più importanti titoli della Vergine Maria. La teologia non può far altro che riflettere su di essi.
L’angelo entrò nella casetta di Nazaret salutando: “Ave, salve!”. Cosí diciamo noi salutando gli altri. Nel vangelo greco e paleoslavo si legge piùttosto: “Rallegrati Maria! “, il che corrisponde bene alla situazione. L’angelo porta infatti un gioioso annuncio. Quando salutiamo un personaggio importante aggiungiamo anche il titolo, ad esempio, “Buon giorno, signor Sindaco, signor Presidente!”. L’angelo dà a Maria un titolo molto più alto: “Piena di grazia, il Signore è con te!”. Nei paesi arabi, fin dai tempi antichi si saluta: “Salem aleikum, la pace sia con te!”. Il popolo ebraico era consapevole di aver bisogno dell’intervento divino, affinché quest’augurio si realizzi. Sapevano che Dio deve essere dalla loro parte. È ciò che esprime la parola “grazia”. In Maria questo si realizza in un modo eccezionale. Essa è piena di grazia, cioè Dio è con lei in tutto ciò che fa, pensa e cerca di fare. Questa situazione esclude ogni allontanamento da Dio, ogni peccato. La tradizione ecclesiale lo esprime con l’espressione “Immacolata”. È interessante tornare di nuovo al testo greco del vangelo. Qui la grazia, charis, significa originariamente bellezza. La pienezza della grazia, quindi, esprime il rinnovamento della natura umana, il ritorno al momento in cui il primo uomo usci dalle mani del Creatore. Non è casuale che gli autori bizantini chiamino Maria Paradiso, giardino immacolato nel quale Dio collocò il secondo Adamo, Gesù.
Quando Dio creò all’inizio il primo Adamo, gli diede come compagna la prima donna, Eva. Disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra” (Gen 1,28). Il Dio della Bibbia è il Dio vivo, a differenza degli idoli pagani, morti. Egli, quindi, donò agli uomini creati a sua immagine la vita eterna. Questo è esplicitato dall’espressione ebraica di benedizione. Dio benedisse Adamo ed Eva. Allora Elisabetta, ispirata dallo Spirito, applica questo termine alla nuova Eva, Maria: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo”. Gesù definisce più tardi se stesso come verità e vita (cf Gv 14,6), a differenza di una verità morta, frutto di considerazioni astratte. Maria gli dà la vita terrena, cioè fa sí che la vita divina, eterna, nasca su questa terra. Essa è quindi fra tutte le donne la più benedetta.
La Chiesa aggiunge alla preghiera l’invocazione “Santa Maria”. Santo può essere detto l’uomo solo quando il Dio santo è con lui. “Il Signore è con te” e “Santa Maria” sono quindi titoli che vogliono esprimere la stessa realtà. Ma c’è una sfumatura diversa. Noi siamo soliti collocare le persone sante in cielo dopo la loro morte. Crediamo che siano attive nella preghiera, e perciò chiediamo il loro aiuto: “Prega per noi!”. La forza della loro preghiera dipende dal grado in cui Dio li fa partecipi della sua santità. Maria è piena di grazia, perciò la tradizione cristiana afferma di lei che è onnipotente nella sua intercessione.
Mons. Dupanloup, noto vescovo di Orléans, racconta che venne un giorno per preparare alla morte una giovane ragazza molto sofferente, che sembrava non sentisse più. Ma quando le parlò della morte, essa rise ad alta voce. Il vescovo cercò quindi di spiegarle che la situazione era critica, grave. Allora, ad un certo punto, la ragazza disse sorridendo: “Lo so bene che il mio stato è grave. Ma io, nella mia vita, ho pregato mille e mille volte: Prega per me adesso e nell’ora della mia morte. Devo ancora aver paura?”.
Possiamo concludere con ciò che scrive Tommaso da Kempen: “Sto in ginocchio davanti a te, santissima Vergine, e recito l’Ave Maria. È una preghiera di poche parole, ma la sua potenza va lontano. È più preziosa dell’oro, più dolce del miele. Merita che la nostra meditazione vi si soffermi e che la meditiamo nel cuore, riprendendola continuamente con le labbra. Da quelle poche parole che la compongono escono fiumi di consolazioni. Come dobbiamo compatire quelli, non devoti e pigri, che si sono abituati a pregare con la mente distratta, che non meditano le parole e non possono quindi sentire la dolcezza che da esse proviene. Dolcissima Vergine, non permettere che io sia colpevole di una tale negligenza e pigrizia, della quale sono stato colpevole nel passato. Per il futuro, prometto di pregare l’Ave con più devozione e attenzione. Amen”.
((Il vangelo delle feste, Lipa 2003, pp. 9-22)