Tomáš Špidlík
(Il vangelo delle feste, Lipa 2003)
III domenica di Avvento – Lc 3,10-18
Anno C
San Giovanni Battista
Nel suo libro La donna e la salvezza del mondo, Pavel Evdokimov affianca i due principali santi cristiani: la Madre di Dio, come pienezza della santità femminile, e san Giovanni Battista come ideale maschile. Nello stesso tempo si lamenta che la venerazione del Precursore del Signore ora diminuisca, che sia sostituito da san Giuseppe, mentre sulle immagini antiche vediamo accanto a Cristo questa dualità inseparabile: la Deipara e il Battista.
È certo che fra i cristiani la stima di san Giovanni si diffuse presto, dopo la testimonianza datagli da Gesù stesso: “In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista” (Mt 11,11). Da un papiro egiziano del IV secolo apprendiamo che la sua festa era fissata al 5 gennaio. Nel rito bizantino è ancora, fra altri giorni a lui dedicati, il 7 gennaio, mentre i nestoriani gli dedicano il primo venerdí dopo l’Epifania e gli armeni la prima giornata libera dopo l’ottavario dell’Epifania. La festa del 24 giugno venne stabilita probabilmente in occidente. L’occasione fu forse la lettura di Luca (1,36): “Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei”. Fissarono quindi la nascita di Battista sei mesi prima della nascita di Gesù. Sant’Agostino attribuisce a questa data anche un significato simbolico. Da quel giorno la durata della luce diminuisce, e Giovanni infatti aveva detto di sé che doveva diminuire (cf Gv 3,30). Sulle icone orientali, il Battista è spesso rappresentato con le ali. Si tratta di un’illustrazione alle parole del profeta Malachia (3,1) citate nel vangelo: “Ecco io mando davanti a te il mio angelo” (Mt 11,10). simbolismo iconografico non si accontenta di questo e aggiunge la sua considerazione. La vita angelica si chiama, nella terminologia orientale, vita monastica, perché anche i monaci stanno presso il trono di Dio e contemplano il suo volto (cf Mt 18,10). A causa della sua vita ascetica nel deserto, san Giovanni fu considerato l’iniziatore dei monaci.
Esiste un’icona russa sulla quale si vede un’alta figura maschile con le ali dorate circondata dai boschi russi, con le figure dei principali fondatori dei monasteri che qui si trovavano. Quando però dovevano descrivere il tipico significato della spiritualità di Giovanni, gli autori ricorrevano fin dal tempo di Origene al testo di Isaia, ugualmente citato da Luca: “Voce di uno che grida nel deserto” (Lc 3,4). A noi oggi queste riflessioni dicono poco, perché suppongono un gioco di parole in greco e la conoscenza delle antiche teorie linguistiche. Ma, se cerchiamo di avvicinarci a questa meditazione in una forma più semplice, scopriamo che vi si rivela un bell’aspetto della vita cristiana spesso dimenticato. In greco, come del resto in altre lingue, si distinguono due termini: “voce” (phoné) e “parola” (lógos). La “parola” è l’idea che portiamo nel cuore, la “voce” è il segno esterno di come la comunichiamo. Sappiamo che cosa è un cavallo, eppure nelle diverse lingue lo esprimiamo con diverse voci: i latini dicevano equus, i francesi cheval, e altri diversamente, ma si tratta pur sempre dello stesso animale.
Ed ora, quale applicazione ne fecero gli autori spirituali? Il senso ultimo di tutto ciò che esiste è Cristo: egli è la Parola, il Logos. E di sé san Giovanni Battista disse che è soltanto la “voce”, cioè tutto ciò che dice e fa deve avere un solo senso: condurre gli uomini a comprendere Cristo.
I predicatori cristiani lo vogliono imitare. Pronunciano nella chiesa molte parole. Qualche volta i loro discorsi sono belli, ammirati. Ma nel cuore devono pregare: “Signore, che non ascoltino me, ma te che parli attraverso le mie labbra. Ti offro la mia lingua, affinché tu ti riveli agli altri”. Ma tali devono essere anche gli scrittori spirituali, gli educatori in scuola e i genitori a casa. Sono come una voce attraverso la quale parla il Salvatore. Il loro valore deve sempre andare a decrescere e, quando hanno detto tutto ciò che dovevano dire, muoiono. Ma il contenuto del loro insegnamento resta eterno. Uno scrittore bizantino scrive di sua madre: “Era buona, la amavo molto, ma sono stato con lei per un breve tempo. Tuttavia attraverso di lei ho imparato che ho in cielo per sempre una madre eterna, la Madre Maria”. Una cosa simile la disse un religioso del suo maestro dei novizi: “Di ciò che ci diceva ricordo poco, ma fino ad oggi ho davanti ai miei occhi interni la sua persona e mi dico: Penso che cosí parlava e agiva Gesù”.
E noi? Se abbiamo nel cuore l’ideale del bene e del bello, lo teniamo vivo, perché abbiamo incontrato persone che ce l’hanno comunicato con la loro vita. Il migliore dono ce l’ha dato colui che con il suo esempio ci ha mostrato come agiva Gesù e quale era il suo volto spirituale. Tali persone sono state per noi come san Giovanni Battista, “voce” che annunciava la Parola-Cristo. Il Battista è chiamato anche “ultimo profeta” dell’Antico Testamento. Il senso dell’antica Legge era di preparare l’umanità alla venuta di Gesù. In tal senso l’antica Legge è passata, ma il suo senso è rimasto. Cosí era quella madre che mori presto ma che divenne per suo figlio testimone viva della Madre celeste.
Se guardiamo tutte le persone che incontriamo nella vita in questa prospettiva, tutte passano, ma il ricordo della loro testimonianza cristiana rimane e possiede un valore eterno. Cosí deve essere infine anche la nostra stessa vita: solo una voce che grida. Ma, se il suo significato è Cristo, diminuendo cresce nell’eternità.