Prepararsi alla Liturgia – XXXIV domenica del tempo ordinario – Solennità di Cristo re

Signore, quando ti abbiamo visto?

 Piero Stefani  (fonte..: www.IlRegno.it)

Ez 34,11-12.15-17; Sal 23 (22); 1Cor 15,20-26.28; Mt 25,31-46

Nell’enciclica Quas primas, con la quale nel 1925 Pio XI istituì la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo re dell’universo, si affermava che essa era anche orientata a produrre duraturi e benefici influssi sulla società umana. Tuttavia oggi la celebrazione liturgica ha giustamente assunto un carattere soprattutto escatologico, consono alla chiusura di un ciclo liturgico che si svolge nel tempo per attestare che non spetta al tempo avere la parola ultima. Il nostro presente è letto alla luce della fine dei tempi.

Il brano evangelico di questa settimana è contraddistinto da un inizio grandioso: il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, sarà circondato da angeli, siederà su un trono glorioso, davanti a lui saranno radunati tutti i popoli (cf. Mt 25,31s). Si tratta di un involucro fastoso che serve a indicare, per contrasto, la componente umile che costituisce il cuore di una finale rivelazione divina. Quando il Figlio dell’uomo svelerà la propria presenza in chi era nel bisogno, i giusti e i reprobi risponderanno allo stesso modo: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare…?» (Mt 25,37.44). Nel giorno del giudizio i salvati e i sommersi saranno accomunati tanto dall’antica ignoranza, quanto dal finale svelamento di una presenza fino ad allora nascosta. Nessuno dei due prima sapeva che soccorrendo il prossimo avrebbe agito anche nei confronti del Figlio dell’uomo. Nessuno immaginava che la realtà più profonda è la scelta compiuta dal Figlio dell’uomo di condividere la fragilità delle creature.

Il Figlio dell’uomo non afferma di celarsi in colui che fece il bene, ma in chi lo ricevette o nella persona a cui fu negato il soccorso quando aveva fame, sete, era forestiera, nuda, ammalata e incarcerata. Il giudice divino ha tratti di passività ed è per questo che può discriminare. Agire e patire qui s’incontrano; il giudice, però, è dalla parte della seconda componente, non della prima. Egli, restando nascosto, aspetta che qualcuno lo visiti. Nulla va svelato anzitempo. Se così non fosse, il corpo umano diverrebbe solo un vuoto involucro di una presenza che lo abita. Le cose stanno altrimenti. Non è un caso che proprio da questo brano evangelico derivino «le opere di misericordia corporale». La centralità del corpo visibile consegna ad altri tempi lo svelamento dell’invisibile.

«Il giorno in cui sua madre la rimproverò di accogliere in casa poveri e infermi, santa Rosa da Lima senza esitare le disse: “Quando serviamo poveri e malati, serviamo Gesù. Non dobbiamo lasciar mancare l’aiuto al nostro prossimo, perché nei nostri fratelli serviamo Gesù”» (cit. in Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2449). A noi che, per lo più, nelle nostre case non ospitiamo poveri e infermi non è dato criticare chi lo faceva con larghezza di cuore. Non ci è lecito metterci dalla parte della mamma di Rosa. Ci è però consentito sostenere che i poveri e gli infermi vanno aiutati per loro stessi e non per amore di Gesù. Se il Figlio dell’uomo sta dalla loro parte, anche noi dobbiamo fare altrettanto e non prenderli come occasione per svelare una presenza che deve rimaner nascosta fino alla consumazione dei secoli.

Il fatto che la presenza divina si sia spostata dal lato dell’azione a quello della passività suggella la dignità perenne di ciò che è fragile ed è nel bisogno; mentre dall’altro mostra, per antitesi, che la dannazione è legata non già al far il male, ma all’astenersi dal compiere il bene. Saremo giudicati sull’omissione; un criterio in base al quale le nostre vite quotidiane risultano inevitabilmente avvolte dal peccato e bisognose di misericordia.

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