La giustizia del Padre
Piero Stefani (fonte..: www.IlRegno.it
Is 49,14-15; Sal 61 (62); 1Cor 4,1-5; Mt 6,24-34
Vi è una priorità assoluta: «Cercate il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33). Alla nettezza della richiesta non corrisponde la semplicità della comprensione. Di primo acchito, si è propensi a ritenere che il possessivo «sua» sia riferito alla parola «Regno». Non è così: il greco lo esclude (un maschile – autous – non può accordarsi con un femminile – basileia).
D’altro canto il ricorso all’espressione più letterale di «giustizia di lui» non basterebbe a sciogliere il nodo; in tal caso infatti si sarebbe orientati a pensare che si riferisca a Dio («regno di Dio»). Una serie di considerazioni, a cominciare dal confronto con Luca (12,31), inducono invece a ritenere che anche qui si guardi al Padre additato come modello a motivo del far sorgere il suo sole su buoni e su cattivi e del far piovere su giusti e su ingiusti: «Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli (…) Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,44-48).
Per Matteo la «giustizia» è la manifestazione concreta di una relazione tra il Padre e chi a lui si rivolge per imitarlo nel suo agire. La parola «giustizia» è termine chiave di tutto il Discorso della montagna. Essa torna, tra l’altro, in due beatitudini: quella riservata a chi ha fame e sete di giustizia (cf. Mt 5,6) e quella relativa ai perseguitati (cf. Mt 5,10). Non bisogna compiere la propria giustizia davanti agli uomini per essere da loro ammirati; se lo si facesse si sarebbe già avuta la propria ricompensa (cf. Mt 6,1-4). Il nascondimento della persona giusta è molto più di una mancanza di ostentazione: è la fiducia profonda nel fatto che il Padre ascolta anche quando la sua presenza non è manifesta. In questo passo il rimando alla futura ricompensa attesta non un risarcimento, ma una relazione giunta al proprio compimento.
Nel Vangelo di oggi (Mt 6,24-34), la parola «giustizia» funge da clausola conclusiva. A motivo sia della cura divina sia dell’impotenza umana, essa comanda di non tormentarsi per quel che si mangia e si beve e per come ci si veste. Bisogna quindi cercare il regno di Dio e la giustizia del Padre senza affannarsi per il domani: a ciascun giorno basta la sua pena.
Qui il modello prospettato è quello del Padre che – come dice una preghiera ebraica – è benedetto perché rinnova, giorno per giorno, le opere della creazione. Vale a dire, bisogna assumere come esempio Chi, quotidianamente, si prende cura degli altri. In questo senso il giusto lo imita. La persona giusta ogni giorno non si affanna per se stessa; il suo sguardo, il suo cuore e la sua mano sono infatti rivolti verso il prossimo.
Questi versetti evangelici ci richiamano non al fatalismo ma alla responsabilità. Darsi pensiero, giorno dopo giorno, per qualcuno significa metterne in conto la fragilità: se il sole si oscurasse, tutto morirebbe; se non cadesse la pioggia, l’arido sopprimerebbe ogni vita, compresa quella degli uccelli del cielo e dei gigli del campo.
Il Padre misericordioso è imitabile proprio a motivo del suo prendersi a cuore l’altrui precarietà. La giustizia del Padre si manifesta nel suo essere premuroso verso la debolezza delle proprie creature.