Prepararsi alla Liturgia – Santissima Trinità

Trinità e battesimo

 Piero Stefani  (fonte..: www.IlRegno.it)

Dt 4,32-34.39-40; Sal 33 (32); Rm 8,14-17; Mt 28,16-20

Due settimane fa la liturgia dell’Ascensione ci aveva fatto leggere la chiusa canonica del Vangelo di Marco (16,15-20); oggi, domenica della Trinità, proclamiamo gli ultimi versetti di Matteo. Nell’uno e nell’altro caso i testi, in ambito liturgico, non vanno compresi in senso rigorosamente esegetico.

Eppure, in relazione al Vangelo di oggi, la filologia non va accantonata: è questione di comprensione, non di erudizione. Nell’attuale versione CEI (2008) la chiusa del Vangelo di Matteo suona così: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 27,19). Nella precedente versione (CEI 1971) invece si leggeva: «Andate dunque ammaestrate tutte le nazioni battezzandole nel nome…». La precedente traduzione era sbagliata, l’attuale è ambigua.

Una resa letterale dal greco suona così: «Andate dunque ammaestrate tutte le genti (ta ethnē) battezzandoli (baptizontes autous) nel nome…» (tale versione era peraltro pienamente recepita dalla Vulgata letta per molti secoli nelle chiese: «docete omnes gentes, baptizantes eos…»). Va da sé che si battezzano anche le donne, eppure qui è proprio un maschile non inclusivo ad aprirci la via alla comprensione.

In sostanza, coloro che sono battezzati non si identificano con le genti. Gli undici discepoli sono invitati a rivolgere il proprio insegnamento a tutti, ma si battezza solo chi liberamente accetta di aderire alla fede. Secondo la parola neotestamentaria non si battezzano perciò le nazioni; in senso stretto non ci sono dunque popoli che, in quanto tali, sono fatti cristiani. Il battesimo è la conseguenza di una scelta di fede. Ai nostri giorni, in cui il pluralismo sia religioso sia areligioso è diventato esperienza quotidiana, il versetto torna ad assumere una centralità perduta nell’epoca del «regime di cristianità».

La domanda più difficile a cui cercare di rispondere è se ci sia un nesso tra questa riscoperta del senso del battesimo come espressione di fede autentica e il fatto che esso sia amministrato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Nella vita delle prime comunità cristiane, il battesimo veniva conferito nel nome del solo Gesù. Con quest’espressione però si voleva indicare non tanto una formula liturgica, quanto il ruolo unico riservato a Gesù Cristo: «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei peccati» (At 2,28; cf. At 8,16; 10,48).

Il riferimento al Padre e allo Spirito nasce a poco a poco come approfondimento della dimensione pasquale. Scrive Paolo: «Per mezzo del battesimo siamo stati dunque sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato da morte per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6, 3-4; cf. Col 2,12; Gal 3,17). La risurrezione avvenne non solo «per mezzo della gloria del Padre», ma anche per la forza dello Spirito. Secondo altre parole di Paolo, Gesù «fu costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti» (Rm 1,4; cf. 1Pt 3,18).

Il riferimento al Padre e allo Spirito sorge in relazione alla morte e risurrezione di Gesù. «Circa il battesimo (…) battezzate nell’acqua viva, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (Didachè, 7,1); questa formula non significa nulla di diverso dal fatto di compartecipare, attraverso questo rito, alla morte e alla risurrezione di Gesù Cristo. L’adesione al mistero pasquale esige la fede. Il battesimo perciò è incompatibile con forme compatte d’identità collettiva incapaci, per loro natura, di salvaguardare la libertà dello Spirito. Non si battezzano le nazioni.

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