Il pane spezzato
Piero Stefani (fonte..: www.IlRegno.it)
Dt 8,2-3.14-16; Sal 147; 1Cor 10,16-17; Gv 6,51-58
Uno dei più antichi documenti cristiani, la Didachè, contiene passi celebri dedicati all’eucaristia. Li si conosce, ma non sempre li si coglie nella loro paradossalità. Paradosso è un termine che, per quanto di ascendenza non biblica, resta parola chiave per parlare della fede nata dalla predicazione dell’Evangelo. Si legge: «Come questo pane spezzato era sparso sui colli e raccolto divenne una cosa sola, così la Chiesa si raccolga dai confini della terra nel tuo Regno, poiché tua è la gloria e la potenza per Gesù Cristo nei secoli». Da molte spighe sparse e macinate nasce un solo pane, tuttavia anche quest’ultimo, a sua volta, viene diviso.
Il pane segno di unità è quello spezzato, non quello integro. La vita della fede nel Signore morto e risorto trova qui un suo simbolo pieno: per condividere lo stesso pane occorre spezzarlo, non già azzannarlo. Si tratta di un gesto antico di benedizione e di rendimento di grazie; tuttavia nella celebrazione eucaristica questo atto non può non richiamare alla mente la convinzione che ogni volta che si mangia il pane e si beve al calice, si annuncia la morte del Signore «finché egli venga» (1Cor 11,26). Il grano sparso sui colli diventa una cosa sola nel pane, ma quest’ultimo, a sua volta, viene diviso per essere appunto con-diviso nella presenza. Esso però è anche espressione di una speranza la quale comporta, accanto al «già», pure un «non ancora».
Se ci si fermasse qui ci si limiterebbe alla prima parte di un paragone, occorre invece prestare attenzione anche alla seconda: «Così la Chiesa si raccolga dai confini della terra nel tuo Regno». L’espansione territoriale della Chiesa è vista dalla Didachè in modo diasporico e pellegrinante. Le comunità dei credenti vivono all’interno delle città umane: la Chiesa di Dio che è in Gerusalemme, Antiochia, Corinto, Roma… Lungi dal costituire in se stessa una realizzazione del Regno che cresce nel mondo, la Chiesa dispersa si presenta come condizione pellegrinante che attende di essere raccolta nel Regno. Il moto verso il Regno è centripeto, non centrifugo. Si tratta evidentemente di una metafora, non di geografia. Qui, a differenza di quanto avveniva nei profeti dell’Antico Testamento, non c’è neppure l’immagine di Gerusalemme come centro del mondo (cf. Is 60; Zc 14,16-21). Resta però immutata la figura della raccolta di quanto era disperso.
La Didachè guardava a un orizzonte escatologico e parlava di Chiesa al singolare. Tutto ciò era e resta fondamentale. Eppure noi ci muoviamo pure nell’ambito storico nel quale occorre impiegare il plurale «Chiese». Proprio attorno all’eucaristia le comunità dei credenti in Gesù Cristo sono tuttora disperse. La Cena che doveva sollecitare i discepoli all’unità è diventata punto di divergenza, anzi di divisione. In un suo libro il teologo valdese Paolo Ricca ha parlato, a questo proposito, di «volontà tradita di Gesù».
L’«ut unum sint» interagisce anche con la dimensione storica. La raccolta in unità dei dispersi è un segno che sollecita un impegno ecumenico visto come componente qualificante della vita di tutti i credenti in Gesù Cristo. È bene ricordarlo proprio oggi, quando si celebra la festa così tipicamente cattolica romana del «Corpo e sangue di Cristo». A oltre 50 anni dal Vaticano II è bene ricordare che il decreto sull’ecumenismo approvato dal Concilio porta questo titolo: Unitatis redintegratio. Espressione che sulla scorta della Didachè va intesa non come confluenza di tutti in un’unica Chiesa storica, ma come espressione di un comune cammino delle Chiese verso il Regno.