Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci
Sullo stesso piano
Anche nel brano della notte di Natale abbiamo una serie di nomi: non più soltanto i nomi della famiglia di Gesù: Cesare Augusto e Quirinio, accanto a Giuseppe, Maria. Troviamo anche diversi nomi geografici: la Siria, la Galilea, la Giudea (vale a dire, una grande provincia romana, e distretti periferici, se non fastidiosi per l’impero); Nàzaret e Betlemme (vale a dire, una cittadina anonima del nord, e la città di origine del re Davide). Realtà poco comparabili sono accostate, quasi associate, in modo che l’ascoltatore attento ne percepisca l’incongruenza, e sia invitato a interrogarsi sul senso.
Sullo stesso piano stanno l’imperatore e l’oscuro discendente di Davide, il governatore della Siria e una coppia di una città dispersa della Galilea. In tutto il Vangelo dell’infanzia di Luca notiamo la stessa modulazione anomala, in parte ereditata dalle narrazioni dell’Antico Testamento, in cui i valori si invertono: i grandi personaggi (Erode, Cesare, Quirinio) fanno semplicemente da contorno, sono ridotti a riferimenti di datazione storica; sono invece davvero rilevanti altri personaggi, coloro che ascoltano e ubbidiscono alla Parola di Dio.
Il popolo profetico oggi
Per noi oggi, in un’epoca in cui la persuasione mediatica ama servirsi di grandi figure di riferimento (che siano divi del calcio, della musica, o uomini politici è, ahimè, indifferente), appiattendo su di esse l’attenzione delle masse, il trattamento dei personaggi nel Vangelo ha un valore enorme. Il popolo profetico che scaturisce dall’ascolto ha lo stesso valore, di fronte a Dio, di Donald, di Hillary, di Vladimir, di tutti coloro che, prima di essere dimenticati, o rovesciati, o declassati, appaiono come i potenti della terra. E viceversa anche i potenti della terra, per la misericordia di Dio, potrebbero scoprire di essere in fondo amati come tutti gli altri uomini… (se solo accettassero di spogliarsi della loro aura di potere: e la storia insegna che è qualcosa di estremamente raro).
La parola vivente del Padre
Riflettiamo dunque sull’agire di Dio: egli per comunicare con gli uomini non si serve principalmente dei potenti della terra (peraltro nel libro di Isaia leggiamo che essi sono come argilla nelle mani del vasaio, come un attrezzo nelle mani del falegname: Is 10,5.15; 29,16; 45,9); la Scrittura testimonia che egli nella storia pazientemente riallaccia la relazione con l’umanità attraverso un piccolo popolo, e in questo popolo poi agisce in maniera privilegiata attraverso la mediazione dei profeti.
La fragile parola del profeta, prima pronunciata, poi scritta, ci fa giungere la voce di Dio. Mentre attraverso gli eventi della storia ci giunge l’azione divina, per la quale i grandi della terra sono ridotti a strumenti ciechi e inconsapevoli (il vertice si raggiunge nella croce di Gesù), i profeti agiscono come partner responsabili, in dialogo con Dio. Tutto il popolo è invitato ad entrare nel dialogo, a condividere la stessa relazione, ma per lungo tempo domina la paura: solo il profeta ha la forza di restare faccia a faccia con Dio. Fino a quando la Parola stessa si fa carne: e non può impaurire, perché si presenta con lo stesso inizio della vita di ogni uomo: un bimbo indifeso. La lettera agli Ebrei, che ascoltiamo alla Messa del giorno, si sofferma con stupore sulla storia della comunicazione tra Dio e i Padri, che si conclude con l’invio del Figlio: anch’egli fragile ed esposto, come gli altri portatori della Parola prima di lui, eppure infine glorificato, innalzato “alla destra della maestà nell’alto dei cieli”.
(Fonte: Sussidio Cei – Avvento Natale 2016)