Andrebbe letta, riletta, meditata. Andrebbe stampata, affissa in casa, in ogni casa, e lasciata bene in vista, così che tutti gli ospiti la possano vedere e leggere pure loro. L’ultima lettera che la Kayla Jean Mueller (1988–2015), l’operatrice umanitaria americana di 26 anni rapita dall’Isis e morta pochi giorni fa in Siria, ha recapitato alla famiglia è infatti molto più di una semplice lettera: è un vero e proprio inno alla vita e alla speranza, un testamento terreno che però sembra scritto dal Cielo, tanta è serenità che irradiano le parole che lo compongono. Andrebbe letta e riletta integralmente – dicevamo – ma della versione integrale, tradotta da Viviana Mazza per il Corriere e disponibile on line, eccone i passi più toccanti:
«Ricordo che la mamma mi diceva sempre che alla fin fine l’unica cosa che ci rimane davvero è Dio. Sono arrivata in un punto della mia esperienza in cui, nel vero senso della parola, mi sono arresa al nostro creatore perché letteralmente non c’è nessun altro… e grazie a Dio e alle vostre preghiere mi sono sentita teneramente cullata in caduta libera. Mi è stata mostrata l’oscurità e la luce e ho imparato che anche in prigione, si può essere liberi. Sono riconoscente. Ho imparato a capire che c’è del buono in ogni situazione, a volte dobbiamo solo cercarlo. Prego ogni giorno che, se non altro, abbiate anche voi sentito una certa vicinanza e abbandono a Dio e abbiate formato un legame d’amore e supporto l’uno con l’altro».
Credo che davanti a un testo simile vi sia ben poco da aggiungere, se non la sorpresa per come, pur nelle condizioni di prigionia e di lontananza dai suoi cari in cui trovava, la povera Kayla sia riuscita a descrivere la condizione che vive una persona cui sono destinate preghiere, «teneramente cullata in caduta libera». Anzi, forse sono state quelle condizioni così difficili e la sensazione che quella lettera avrebbe potuto essere l’ultima – come purtroppo poi è stato – a spingere la giovane a cercare l’essenziale, quello che conta, l’origine di ogni autentica pace: Dio, il primo artefice della gioia ed anche il solo in grado di consolare veramente; Kayla lo aveva capito e la speranza con cui ha concluso la sua lettera sa tanto di invito a (ri)scoprire questa straordinaria verità: «Vi prego di essere pazienti, di offrire a Dio la vostra sofferenza».
Fonte: giulianoguzzo.com
“Se posso dire di aver sofferto durante tutta questa esperienza è soltanto perché so quanto vi sto facendo soffrire; non vi chiederò mai di perdonarmi, perché non merito di essere perdonata”.
Fonte: 27esimaora.corriere.it