Il Vangelo: Bussola per la vita

Bussola per la vita

Bartolomeo Sorge

 

Il messaggio cristiano, contenuto nel Nuovo Testamento, non può lasciare indifferente nessuno. Si può ignorare l’uno o l’altro autore, l’uno o l’altro libro; non Gesù di Nazaret e il suo vangelo. Dopo che Cristo ha diviso la storia in due parti, avanti e dopo di lui, nessuno può dire: «Non lo conosco». Dopo che il vangelo è stato annunziato a tutti, nessuno può dire: «Non l’ho letto» o «non mi interessa». In realtà, il vangelo più che un libro da leggere è un libro da vivere. Rappresenta l’unico caso nel quale non è il lettore a giudicare ciò che è scritto, ma ciò che è scritto a giudicare ogni uomo.

Insomma, di fronte alla parola di Dio, tutti, senza eccezione alcuna, siamo chiamati a prendere posizione: o contro o a favore; l’astensione e l’indifferenza non sono ammissibili, perché sarebbero già un rifiuto: «Chi non è con me è contro di me» (Lc 11,23).

Che cosa è mai questa «parola di Dio»?

Se prendi in mano il vangelo per la prima volta, ti fa l’impressione d’uno specchio. Ti fa vedere come sei, molto lontano da come dovresti essere. Ti mostra una strada tanto diversa dalla tua che ti appare sbagliata. E la parola di Dio si fa coscienza critica. È una spada. «La parola di Dio infatti è viva ed energica e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino all’intimo dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12).

Come una bussola ti orienta, ma non si sostituisce a te; non toglie la fatica della ricerca e dello studio, non elimina i rischi del cammino, che devi correre tutti. Come la luce rende brillanti i colori ma non ne prende il posto, ne rispetta le differenti tonalità. La responsabilità rimane tua. Alcuni esempi? C’è solo l’imbarazzo della scelta.

Cent’anni fa, la coscienza umana si è ribellata di fronte alle conseguenze nefaste del capitalismo selvaggio. Una voce di rivoluzionario ha chiamato a raccolta i proletari di tutto il mondo. La sfida era vera, la speranza di liberazione era buona, ma la risposta era sbagliata. Lo ha detto subito la Chiesa, illuminata dalla parola di Dio: «I proletari», leggiamo nell’enciclica Rerum novarum, «per la maggior parte trovansi indegnamente ridotti ad assai misere condizioni», «so-li e indifesi in balia della cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza», soggetti all’«usura divoratrice» praticata da «ingordi speculatori», al «monopolio della produzione e del commercio, tantoché un piccolissimo numero di straricchi hanno imposto all’infinita moltitudine de’ proletari un giogo poco men che servile» (n. 2). Ma il comunismo non è la soluzione, afferma sicuro Leone XIII: «Illudono il popolo e lo trascinano per una via che conduce a dolori più grandi dei presenti» (n. 14). C’è voluto un secolo di sangue, di violenze terribili, di guerre, di odio per cogliere oggi sulle labbra dei leader sovietici il medesimo severo giudizio che il papa suggeriva da cent’ anni.

Un altro esempio? Oggi una cultura impazzita arriva a definire «conquiste di civiltà» piaghe mortali come l’aborto, la dissoluzione della famiglia, l’eutanasia… Allo specchio della parola di Dio, quanti ragionano così appaiono uomini capovolti. Il vangelo, spada affilata, ci giudica: «Non ucciderai» (Es 20,13); «Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non separi» (Mt 19,6). La Chiesa oggi è rimasta sola a difendere la vita non nata, l’indissolubilità del matrimonio; la sua voce

sembra soccombere, è derisa, rifiutata come retrograda. Speriamo solo che non debba trascorrere un secolo prima che cada quest’altro muro di divisione e di pianto.

E che dire del discorso contemporaneo sulla pace? Tutti ne parlano, tutti dicono di volerla; ma poi ‘la confondono con l’assenza di guerre, esorcizzate – si sostiene – dal «deterrente atomico», garantite dal diritto. Fa scandalo il vangelo, quando invece la Chiesa dice che il diritto non basta, che la guerra non può essere giusta, mai più, di fronte al potenziale distruttivo delle cosiddette «bombe intelligenti», atomiche e non. Ancora una volta, la parola di Dio ci giudica: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9), di quella pace «non come la dà il mondo» (Gv 14,27), ma dono di Dio, fondata sulla giustizia integrata dall’amore, dalla solidarietà. L’ultima tragica «guerra del Golfo» si è potuta combattere senza alcuna formale violazione del diritto internazionale, garantito dall’Onu. Perché? Com’è possibile che tra le maglie della giustizia passi una guerra fratricida tremenda? Se manca l’amore – giudica ancora la parola di Dio – la legge da sola all’uomo non basta. Senza Dio non c’è pace, dunque; perché l’A-more è Dio.

Se continui a prendere in mano il vangelo, dopo la prima volta, ti accorgerai ben presto che la parola di Dio non è solo una spada, non è solo coscienza critica, condanna negativa. La parola di Dio è soprattutto progetto di vita, è proposta positiva e costruttiva. È molto più crescita nel bene che denuncia del male. È un seme vivo, che contiene in sé la pianta: «Il seme è la parola di Dio» (Lc 8,11). Se te ne nutri, vivrai della sua vitalità; se l’ascolti, cresci; se la metti in pratica, ti cambia, ti fa nuovo. E gli uomini nuovi – si sa – rinnovano la società.

Se lo chiede oggi pure la cosiddetta «cultura laica»: come mai, mentre scompaiono travolte dalla storia ideologie che parevano inattaccabili, il messaggio cristiano – «vecchio» di duemila anni – diventa sempre più giovane a misura che passano i secoli? «Le grandi narrazioni dello scientismo e dello storicismo», risponde Vattimo, noto esponente della cultura laica nostrana, «non tengono più: la scienza non ci appare più come la conoscenza oggettiva della realtà, sulla quale fondare una convivenza umana libera dalla paura, dallo sfruttamento, dalle ingiustizie di ogni tipo». E conclude: «È fin troppo comprensibile, dunque, che oggi nella cultura laica si riproponga il problema dell’esperienza religiosa e, specificamente, del significato della predicazione della Chiesa».

La vera ragione – diciamo noi – è che la parola di Dio è viva, un seme appunto; cresce, non muore col tempo, perché è seme di Dio, dell’Eterno. Non può essere smentita dalla storia, perché fa la storia. Non può sottostare all’usura delle culture, delle leggi e dei costumi mutevoli dell’uomo, perché è un seme che genera le culture, supera le leggi, rinnova i costumi.

Non c’è situazione più contraddittoria per il cristiano della schiavitù. La persona umana non ha prezzo, non si può vendere e comprare, perché è figlia di Dio, immagine e gloria sua, è fratello. L’uomo è soggetto e oggetto d’amore, non di compravendita. Ebbene, il vangelo ha sconfitto la schiavitù non uccidendo i tiranni, ma cambiando la coscienza e illuminando l’intelligenza degli uomini.

Onesimo, schiavo fuggitivo, si rifugia tra le braccia di Paolo. Il diritto romano permette al padrone di farne ciò che vuole. Paolo lo rimanda a Filemone, dal quale si era allontanato, con un biglietto: «Te lo rimando (…] affinché… tu lo potessi riavere per sempre; non già come schiavo, ma più che schiavo, fratello… carissimo» (Fm 12. 15s). Il «seme», crescente, ha fatto crollare il diritto romano iniquo. Il male èstato vinto con il bene.

Ai nostri giorni, la tentazione di rispondere con la violenza alla violenza s’è fatta più forte. Se durante gli anni di piombo i terroristi miravano al cuore dello Stato, perché non cercare a nostra volta di colpire mortalmente al cuore i terroristi? Certo, la parola di Dio è una spada: la condanna del terrorismo non ammette attenuanti. Ma la parola di Dio è seme, è vita, non morte. E la Chiesa non ha temuto di aprire le braccia ai terroristi, a cominciare dalla Lettera agli uomini delle Brigate rosse di Paolo VI. La vera vittoria sul terrorismo non è stata la sconfitta della lotta armata, ma il pentimento e il ravvedimento di tanti «militanti», che hanno ritrovato se stessi e il senso della vita.

C’è forse qualcosa di più lontano dal discorso delle Beatitudini, di quanto lo sia la mafia? Al vangelo di pace la mafia contrappone la logica della violenza, al perdono la vendetta, alla solidarietà l’omertà, al servizio l’arroganza e il ricatto, al senso dello Stato l’egoismo dei traffici illeciti, al diritto e alla giustizia la difesa armata del crimine. La condanna da parte della parola di Dio e della Chiesa non può essere che totale e ferma, sino alla scomunica. Eppure la mafia non si vincerà abbassandosi al suo stesso livello. Il rigore della giustizia ci vuole, ma non basta. La pulizia nella pubblica amministrazione e nella politica è essenziale, ma insufficiente a estirpare la malapianta. Lo sviluppo economico che elimini la disoccupazione dilagante è indispensabile. Tuttavia sarà risolutiva soltanto l’estirpazione della radice culturale e morale infetta, attraverso la conversione e l’amore: «Non restituite a nessuno male per male… Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rm 12,17.21). A prima vista è scandaloso: detestare il terrorismo e amare i terroristi? Condannare, esecrare la mafia e amare i mafiosi? Sì, èil modo evangelico di vincere, cambiando i cuori. Perché la parola di Dio è un seme che ha in sé la vita; è per crescere, non per uccidere. Se poi, non contento di prendere in mano il vangelo più spesso, finisci col rendertelo familiare, allora farai la scoperta più bella e affascinante. Ti accorgerai che, oltre a essere spada e seme, la parola di Dio è una Persona:

«Il Verbo si fece carne e dimorò fra noi» (Gv 1,14). Una Persona viva, che attira a sé, ti rende partecipe della sua vita, ti manda ai fratelli. Ti attira. I discepoli di Emmaus erano scoraggiati. Riconobbero il Risorto non con gli occhi, ma attraverso la parola: «Non ardeva forse il nostro cuore quando egli, lungo la via, ci parlava e ci spiegava le Scritture?» (Lc 24,32). L’incontro con la parola viva comunica un’ esistenza nuova, «essendo stati rigenerati, non in forza di un

seme mortale, ma in forza di Dio immortale, che vive e rimane in voi in virtù della parola» (lPt 1,23). Così il vangelo vissuto trasforma noi che vi crediamo in testimoni del Risorto incontrato, in sale della terra e in luce del mondo.

Così il Nuovo Testamento, la parola di Dio viva che suggella l’Alleanza nuova ed eterna con il nuovo popolo di Dio che è la Chiesa, è destinato a conservare nei secoli la sua attualità, senza parentesi alcuna. Per il vangelo ogni epoca ècontemporanea. Per ogni uomo, per ogni civiltà, in ogni tempo la parola di Dio è stata e sempre sarà spada e seme, ma soprattutto presenza viva di Colui che ha promesso di essere con noi «tutti i giorni, sino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Non resta che farne l’esperienza. Prendi e leggi. O, meglio, prendi e vivi.

Fonte: www.notedipastoralegiovanile.it

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